- La Cattedrale
- Santa Maria Della Pieve
- Basilica di San Francesco
- Chiesa di San Domenico
- Santuario di Santa Maria delle Grazie
- Anfiteatro Romano
- La Casa del Petrarca
- La Casa del Vasari ed il Museo
La Cattedrale
Imponente costruzione gotica, avviata sul finire del Duecento e protratta con varie interruzioni fino all’inizio del Cinquecento, il Duomo domina con la sua mole la sommità della collina aretina, svettando su tutte le vedute della città. La facciata, rimasta incompiuta, è stata realizzata all’inizio del Novecento su disegno di Dante Viviani. Il trecentesco portale romano-gotico del lato destro è fiancheggiato da due tronconi di colonna in porfido residuati da un edificio preesistente (forse romano); nella lunetta un gruppo trecentesco in cocciopesto (Madonna con Bambino, tra S.Donato e Gregorio X). A fianco dell’abside poligonale è stato eretto a metà dell’Ottocento il campanile; la cuspide è opera novecentesca.
L’interno è diviso in tre maestose navate da alti pilastri polistili, che assieme agli archi ogivali conferiscono all’insieme forte slancio ascensionale; notevoli le vetrate a colori, in gran parte opera di Guglielmo de Marcillat (XVI sec.). Da segnalare, nella navata destra, il gotico sepolcro di Gregorio X (XIV sec) e la cappella Tarlati (1334); sopra l’altare maggiore l’Arca di S.Donato, opera di artisti aretini senesi e fiorentini del XIV sec.; nella navata sinistra il prezioso affresco di Piero della Francesca raffigurante la Maddalena (1465?) ed il Cenotafio di Guido Tarlati (1330). L’ampia cappella della Madonna del Conforto, opera dell’ultimo Settecento, contiene terracotte robbiane. Annessi alla cattedrale i locali del Museo Diocesano e dell’archivio Capitolare.
Santa Maria Della Pieve
Il titolo di pieve già documentato nel 1008 indica, da un lato, l’antichità della fondazione della chiesa, sorta in origine come edificio paleocristiano, dall’altro, la sua giurisdizione su tutte le altre chiese aretine, favorita di sicuro dalla lontananza della cattedrale, posta all’epoca sul colle del Pionta, oltre che dalla sua stessa posizione, molto prossima invece alla città.
Il momento di massimo splendore della Pieve è connesso a quello del libero Comune di Arezzo. Gli aretini venivano battezzati solo al fonte battesimale della Pieve, intitolata a Santa Maria Assunta. Il favore e la protezione riservata dal Comune, anche durante il conflitto con il potere feudale ecclesiastico, favorirono la costruzione di una nuova chiesa intorno alla metà del XII secolo.
La struttura era a tre navate, con abside, con presbiterio rialzato e con cripta sottostante. Nel XIII secolo la Pieve divenne la vera e propria chiesa comunale, in concomitanza con il trasferimento urbano della cattedrale. A tale momento risale un secondo rifacimento, con aggiunta nella facciata di archetti ciechi e loggette sovrapposte, secondo lo stile pisano/lucchese, tradotto in pietra ed esemplato su antichi modelli settentrionali.
All’interno si ideò un transetto di fronte al presbiterio con pilastri a fascio. Nel 1330 fu completata la torre campanaria, aggiunte di cappelle, di edicole e di affreschi si verificarono nel Trecento e Quattrocento, nel 1390 le cappelle erano 27. Ricchissimo è il numero di opere e pitture andate perdute, tra queste un ciclo di affreschi di Pietro Lorenzetti, autore nel 1320 del bellissimo dossale, ancora oggi visibile nel presbiterio.
Grandi interventi di trasformazione furono realizzati da Giorgio Vasari nel 1560, l’altare maggiore con il polittico del Lorenzetti fu sostituito da quello dedicato alla famiglia Vasari dipinto dall’aretino stesso in collaborazione con il fiammingo Jan van der Straet detto Giovanni Stradano e attualmente collocato nella Badia delle Sante Flora e Lucilla. Il complesso decorativo dell’altare vasariano fu smantellato nel 1864, in occasione di drastici lavori di restauro eseguiti in Pieve dal 1862 al 1875. Con l’intento di restituire alla chiesa il suo aspetto originale, furono eliminati gli altari e le cappelle costruite nel Seicento e nel Settecento.
Basilica di San Francesco
Affacciata sull’omonima piazza, nel punto dove la direttrice di via Cavour si allarga per formare un suggestivo punto di accesso al nucleo più antico della città, la basilica risale alla seconda metà del Duecento, ma l’attuale aspetto deriva dal rifacimento trecentesco, condotto in stile gotico toscano e chiaramente ispirato a criteri di semplicità estetica di derivazione francescana. Gli ultimi restauri risalgono all’inizio di questo secolo.
L’edificio è costruito in pietre e mattoni; del progettato rivestimento della facciata in pietrame scolpito resta solo il basamento (fine Quattrocento) mentre il campanile risale al Cinquecento. Laboriosi lavori di restauro hanno pressoché restituito alla primitiva semplicità il grandioso interno ad unica navata, fiancheggiata a destra da edicole con ornamenti trecenteschi e rinascimentali e a sinistra da sobrie cappelle ogivali. Ma l’attenzione del visitatore è attratta sopratutto dalle affascinanti scene della Leggenda della Vera Croce, dipinte da Piero della Francesca sulle pareti della cappella maggiore (abside) tra il 1453 ed il 1464 (ca.). Sul celebre ciclo di affreschi – una delle più alte testimonianze della pittura italiana del Rinascimento – è in corso un accurato intervento di restauro condotto con criteri scientifici e tecnologici d’avanguardia, rivolto a riportare l’opera all’originaria bellezza entro il 1992, cinquecentesimo anniversario della morte dell’artista, terminata però con l’inaugurazione degli affreschi restaurati nell’anno 2000. L’operazione, denominata Progetto per Piero della Francesca, è condotta dal Ministero per i Beni culturali, della Sovraintendenza aretina, dal Comune, dalla Provincia e dalla Regione Toscana; sponsor ufficiale è la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio.
Da notare inoltre un grande Crocifisso dipinto da un contemporaneo di Cimabue e, entro l’ultima cappella laterale sinistra, il monumento funebre al giureconsulto Roselli (prima metà del Quattrocento). Al piano sottostante si estende, divisa in tre navate, la Chiesa inferiore, ripristinata nel corso degli ultimi decenni e utilizzata come suggestiva sala espositiva.
Chiesa di San Domenico
Fondata nel 1275 e terminata all’inizio del Trecento, la chiesa domina con la sua gotica architettura il fondale in leggera pendenza di piazza S. Domenico: uno dei punti più suggestivi della città cui si accede con facilità dal lato nord delle mura. L’edificio è stato sottoposto nel corso dei secoli a manomissioni e restauri. Sulla caratteristica facciata si apre un portale romanico; il pronao è un rifacimento di questo secolo. Al campanile a vela sono appese due campane trecentesche.
L’interno, ad una sola navata con tetto a capriate, è decorato con affreschi (purtroppo assai deteriorati) del Trecento e Quattrocento, opera di artisti aretini e senesi (Parri di Spinello: Crocifissione). Di grande interesse il Crocifisso dell’altare maggiore, capolavoro giovanile di Cimabue (1265 ca.). Alla parete destra la cappella Dragonelli (1370), unico residuo delle originarie edicole sostituite nel Cinquecento con grandi altari. A sinistra della chiesa si apre l’ingresso all’annesso convento, già sede nel Medioevo dello Studium aretino.
Santuario di Santa Maria delle Grazie
Nel luogo dove oggi sorge la chiesa dei Carmelitani Scalzi vi era un santuario pagano con una fonte, che nel periodo etrusco/romano era consacrata ad Apollo e nell’Alto Medioevo era detta Fonte Tuta o Fonte Tecta. Vi venivano praticati riti paganeggianti, nella convinzione che l’acqua guarisse soprattutto le malattie infantili. Nel 1425, predicando la sua prima Quaresima ad Arezzo e sentendo parlare della fonte, S. Bernardino da Siena, ostacolato anche da nobili famiglie aretine, tentò inutilmente di farla distruggere. Cacciato dalla città, egli vi tornò per il Quaresimale del l 428 riuscendo, questa volta, nello scopo. Alla testa di un corteo di fedeli armati di vanghe e di zappe il santo distrusse la fonte, facendo costruire al suo posto un oratorio intitolato a Santa Maria delle Grazie, dove Parri di Spinello, figlio di Spinello Aretino, dipinse a fresco l’immagine della “Madonna della Misericordia”, oggi inserita nello splendido altare marmoreo di Andrea Della Robbia, la cui esecuzione è documentata tra il 1487 e il 1493.
La costruzione della chiesa ebbe luogo tra il 1435 e il 1444. Su disegno di Domenico del Fattore fu eretto un edificio tardo gotico, ad una sola navata, con volte a crociera e abside poco profonda. Alla facciata venne addossato intorno al l 490 lo splendido porticato di Benedetto da Maiano, esempio straordinario di architettura rinascimentale di stampo brunelleschiano, formato da una serie di grandi arcate sormontate da capitello e dado oltre che da una cornice decisamente aggentante.
Sul fianco destro della chiesa, dopo la morte di San Bernardino, avvenuta nel 1444, fu aggiunta la cappella dedicata al santo, la cui edificazione risale tra il 1450, anno della canonizzazione, e il 1456. Prima del 1471 era stato creato il piazzale antistante, un tempo circondato da un portico congiunto a quello della facciata Progettato da Giuliano da Maiano e fatto distruggere dal Comune nel l788, a causa dei mancati finanziamenti per il restauro, richiesti invano dai Carmelitani a Pietro Leopoldo, il portico era in origine internamente affrescato con “Storie di San Donato” eseguite da Lorentino d’Andrea (documentato dal l463 e morto nel l506) all’inizio degli anni sessanta del Quattrocento.
Gli affreschi, oggi staccati, sono conservati nella cappella di San Bernardino, insieme ad un altare barocco in legno scolpito ed intagliato, realizzato da Girolamo Anselmo Fiorentino per la Pieve aretina di Santa Maria, nel l628 e qui trasferito nel l87l. Alla metà del XV secolo risalgono le decorazioni delle volte.
Sul lato sinistro del presbiterio si apre la sagrestia, costruita all’inizio dell’Ottocento grazie ad una donazione fatta da una certa Signora Giuseppa da Bagnano. Il soffitto con “San Giuseppe in gloria” è stato affrescato da Raimondo Zaballi nel l826. Allo stesso anno risale l’affresco con “Santa Teresa d’Avila” della parete di fondo, attribuibile allo Zaballi o al suo collaboratore Giuseppe Macchetti. Lavori di restauro sono stati eseguiti a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Al 1870/1871 risalgono i primi interventi relativi alla Loggia, mentre al 1900/1906 quelli destinati alla chiesa, di nuovo intrapresi nel 1967-l969. Recente è l’ultimo restauro della loggia, portato a termine nel 1994/l995.
Il Santuario è entrato in possesso dei Carmelitani nel l695.
Anfiteatro Romano
Situato nella zona meridionale della “città murata”, è accessibile da via Margheritone e da via F. Crispi. Realizzato tra la fine del I e l’inizio del II sec. d.C. con blocchi in arenaria, laterizi e marmi, presenta una forma ellittica, a due ordini di gradinate. L’asse maggiore misura m. 121, la capienza raggiungeva, presumibilmente, gli 8mila spettatori. Ripetutamente saccheggiato, nel corso dei secoli è stato privato dei materiali più preziosi per erigere edifici di culto, quindi parzialmente interrato. Ancora visibili la platea e parte degli ambulacri. Sui resti dell’emiciclo Sud è stato costruito nel XVI sec. il Monastero di S. Bernardo, oggi sede del Museo Archeologico.
La Casa del Petrarca
L’attuale costruzione (in via dell’Orto, poco oltre il pozzo di Tofano) è sorta nel Cinquecento sui resti di un edificio medioevale tradizionalmente ritenuto la casa natale di Francesco Petrarca (1304). Semidistrutta durante l’ultimo conflitto e ricostruita, è oggi sede dell’Accademia “Petrarca” di Lettere, Arti e Scienze, sorta nel Settecento sulle orme delle secentesche associazioni dei Discordi, degli Oscuri e dei Forzati, e della relativa biblioteca.
La Casa del Vasari ed il Museo
Edificata dal 1540 al 1548, su fondazione e struttura di base già esistenti, è costituita dal seminterrato con volte ribassate costituito da più ambienti e l’appartamento signorile al primo piano oggi adibito a depositi e laboratorio della soprintendenza.
In origine la facciata doveva essere più stretta e presentare due file di quattro finestre ed un portale, quello col bugnato, mentre le altre aperture devono essere aggiunte più tarde. La facciata pertanto, secondo questa ricostruzione ipotetica di Albino Secchi, doveva essere caratterizzata da una maggior proporzione ed armonia rispetto a quella attuale che risulta eccessivamente amplificata in larghezza.
L’attuale scala di accesso al piano nobile dovrebbe essere originale e ideata dallo stesso Vasari che aveva decorato personalmente il salone detto del Camino con soffitto a cassettoni dipinto, un piccolo corridoio detto Cerere con volta a botte dipinta, una stanza detta delle Muse e un’altra detta della Fama, entrambe con dipinti murali sul soffitto voltato.
L’appartamento era costituito poi da un piccolo ambiente con pavimento in maioliche cinquecentesco forse adibito a Cappella e da una cucina, oggi con affreschi del pittore ottocentesco Raimondo Zaballi
Attorno alla casa si estendevano orti di cui Vasari era molto orgoglioso nei quali probabilmente lavorava personalmente quando gli impegni lo lasciavano un po’ libero. Attualmente l’appezzamento di terreno risulta ridotto e trasformato in giardino con la consueta struttura geometrica centralizzata tipica di tanti spazi verdi annessi a palazzi signorili del centro storico aretino.
Agli inizi del 1550 come si è già detto Vasari si sposò con la giovanissima Niccolosa Bacci che chiamava “Cosina”, con la quale venne ad abitare nella dimora di San Lorentino. La loro convivenza nella casa aretina però durò ben poco perché dopo pochissimi mesi l’artista si trasferì a Roma al seguito del Cardinale Del Monte (cioè Monte San Savino) eletto pontefice col nome di Giulio III, lasciando la moglie sola per anni nella nuova casa. Da alcune lettere di Vasari si deduce comunque un amore sincero e tanta nostalgia per la sua terra, la sua casa e sua moglie. Dopo l’attività prestigiosa a Roma dove lavorò alla Cappella Del Monte a San Pietro in Montorio e agli affreschi della villa e del palazzo del Banchiere Bindo Altoviti, tornò nella sua amata casa, ma per breve tempo poiché gli impegni sempre più pressanti al servizio dei Medici lo fecero trasferire, stavolta con la famiglia, a Firenze dove risiederà dapprima in una casa in affitto in via Larga e poi nella bella casa di Borgo Santa Croce concessagli in proprietà proprio dai Medici che sarà decorata con splendide pitture murali sempre sul tema delle Arti e degli Artisti.
Nonostante il trasferimento a Firenze comunque la casa aretina mantenne un ruolo importante poiché Vasari vi andava collezionando numerose opere d’arte fra le quali oltre ad una Madonna abbozzata dal Parmigianino, ad un modello di Michelangelo, alla copia in terracotta della “Notte” di Michelangelo eseguita dal Tribolo, “molte altre nobili pitture, sculture e marmi antichi”. Ma nell’inventario steso alla morte di Vasari, che non ebbe figli, nel 1574 non risulta quasi più nulla della collezione probabilmente perché le opere dovevano essere state trasferite a Firenze. L’allarme che si creò ad Arezzo nel 1605 per un presunto furto di opere nella casa dell’artista farebbe supporre che la sua collezione dovesse esservi in parte tornata. Comunque un fatto è certo: nella seconda metà del Settecento nella casa non c’era più niente.
Con l’estinzione della casata dei Vasari nel 1687, per volontà testamentaria dell’ultimo dei discendenti dell’artista, i beni immobili, fra cui la casa, passarono alla Fraternita dei Laici. Ancor oggi infatti rimangono tracce di questa proprietà: troviamo infatti sul cammino della sala e su alcune porte lo stemma della Fraternità.
Dal 1871 al 1910 l’edificio appartenne alla famiglia Pagliacci e nel 1911 fu acquistata dallo Stato per destinarlo a Museo e a sede dell’archivio vasariano.
Dopo un primo allestimento che intese ricreare la dimora cinquecentesca del Vasari con mobili in stile ed alcune opere del pittore provenienti dal Museo di Arezzo, seguì una nuova sistemazione nel 1955 a cura di Luciano Berti, funzionario della Soprintendenza delle Gallerie di Firenze che è rimasta tuttora valida e sostanzialmente invariata. Il Berti, con una delle operazioni museografiche più raffinate ed intelligenti dell’epoca eliminò l’arredamento in stile ed espose una cinquantina di opere provenienti dai depositi dei Musei fiorentini che documentassero parte della pittura cinquecentesca fiorentina e non, con numerosi esemplari di artisti formatisi alla scuola vasariana, privilegiando opere di medio e piccolo formato che meglio si inserissero negli ambienti non grandi della casa dell’artista. Molti dei dipinti erano inediti e dal momento della loro pubblicazione ad opera di Berti è nato un vivo e fertile dibattito fra gli studiosi per stabilirne la paternità e la provenienza.
Nel 1981 la collezione si è arricchita di un’opera autografa di Giorgio Vasari, il Giuda, proveniente dal mercato antiquario e riconducibile al periodo veneziano dell’artista di cui fino ad allora si conoscevano pochissime opere mobili.
La Vita del Vasari
Giorgio Vasari era originario di Cortona, la sua famiglia all’epoca del bisnonno Lazzaro Taldi (1399-1468) sellaio ma anche pittore, del quale fino a poco tempo fa si ricordava un affresco nella chiesa aretina di San Domenico, si era trasferita stabilmente ad Arezzo ed aveva acquistato una prima casa e poi una successiva abitazione nell’attuale via Mazzini, al numero 60. Il figlio di Lazzaro, Giorgio, nonno omonimo del nostro, esercitò la professione di vasaio facendo trasformare il vero cognome Taldi in Vasari.
Il padre del nostro Giorgio, Antonio morì nel 1527 in una grave epidemia lasciando oltre a Giorgio di soli 16 anni, quattro figli più piccoli di lui, fra cui tre femmine e la moglie in stato interessante. Quando rimase orfano Giorgio aveva già chiaramente manifestato la sua predilezione per la pittura incoraggiata anche da Luca Signorelli, famoso pittore cortense parente dei Vasari che aveva sicuramente aiutato il suo trasferimento a Firenze per studiare sotto Michelangelo, Andrea del Sarto e Baccio Bandinelli.
A sedici anni Vasari non doveva essere più di un apprendista, ma pian piano la sua formazione si arricchì con lavori e studi in provincia, ad Arezzo, a Firenze, Roma e Bologna conquistando un sempre maggior numero di commissioni. Ricordiamo che nel 1532, all’età di ventun’anni Giorgio eseguì la Deposizione del Sepolcro, oggi conservata in casa Vasari (Camera di Abramo) che mostra chiaramente le varie componenti culturali della sua arte e che dovette rappresentare come un vero e proprio biglietto da visita per farsi conoscere a Firenze.
Grazie a vari lavori riuscì fra l’altro a “sistemare” le sorelle costituendo loro una dote per sposarsi o per ritirarsi in convento, come si usava all’epoca.
Non ancora trentenne, nel 1540, acquistò da Jacopo Nanni dei Cavaceppi una casa posta nel quartiere di San Lorentino, nell’attuale via XX settembre, iniziò a ristrutturarla con numerosi cambiamenti e nel 1542 cominciò la decorazione dei vari ambienti che risulta terminata nel 1548. Due anni più tardi Giorgio Vasari sposa la giovanissima Niccolosa Bacci, figlia quattordicenne, di Francesco Bacci, facoltoso cittadino aretino. La tradizione vuole che Vasari l’abbia raffigurata nella camera delle muse nell’unico pennacchio con tre figure. Si tratta di una giovane molto florida ed elegante che oggi si stenta veramente a credere che non fosse ancora quattordicenne.
Col progressivo aumento del prestigio di Giorgio al servizio dei granduchi di Toscana, i Vasari si trasferirono a Firenze nel 1554.