Arezzo, cenni storici

chimera

Gli stanziamenti preistorici in area aretina, testimoniati dal ritrovamento di reperti attribuiti al Paleolitico medio ed inferiore (strumenti litici di Venere, cranio dell’Olmo), divengono in epoca assai remota insediamenti stabili identificabili con la definitiva posizione della città di Arezzo.
Alla fine del VI sec. a.C. risalgono le prime testimonianze archeologiche dell’esistenza di un centro urbano – la futura Arretium – situato nella parte alta della collina e così florido da divenire una delle dodici lucumonie d’Etruria. Poche, ma significative tracce rimaste: brevi tratti di mura, resti di una necropoli sul Poggio del Sole, i due celebri bronzi della Chimera e della Minerva (V e III sec. a.C. Museo Archeologico di Firenze) rinvenuti nel Cinquecento, vasi di bucchero, ceramiche greche di importazione (cratere di Euphronios, Museo Archeologico di Arezzo).

Attorno al III sec. a. C. la città etrusca raggiunge il massimo sviluppo. Alleatasi con Roma nella lotta contro l’invasione dei Galli Senoni, accoglie stabilmente un presidio militare romano, divenendo per circa due secoli, grazie alla sua posizione strategica sulla via Cassia, il fulcro dell’espansione di Roma verso 1’Italia settentrionale.
Al II sec. a.C. risale la costruzione, sulla vicina collina di Castelsecco, del santuario e delle poderose mura perimetrali. Nel periodo repubblicano (I sec. a. C.), Arezzo è definitivamente entrata nell’orbita romana; durante le guerre civili si schiera, successivamente, con Mario e Pompeo, subendo la punizione di Silla e Cesare, che ne fanno una colonia. Successivamente costituita in municipium, la città romana conosce in epoca augustea la prima, notevole espansione verso la pianura sul versante Sud della collina: sono ampliate le mura, sorgono 1’Anfiteatro (II sec., unico edificio pubblico sfuggito alle successive distruzioni barbariche), il teatro, le terme.
Grande impulso all’attività economica ed artistica è dato da Caio Cilnio Mecenate (68 ca.-8 a.C.), appartenente ad una potente famiglia aretina, divenuto ministro e consigliere dell’imperatore Ottaviano Augusto. In città si diffonde l’industria della “terra sigillata”: i vasi corallizzi prodotti dai vasai aretini si diffondono fino agli estremi confini dell’impero (India).
Nell’alto Medioevo il crollo del mondo romano, le scorrerie barbariche, il lungo periodo della dominazione longobarda e carolingia vedono la città, ridottisi gli abitanti e le attività, ritirarsi sulla collina. Dal disfacimento dell’ordinamento pubblico dei secoli X ed XI emerge progressivamente la figura del vescovo-conte, che vive nel castello fortificato di Pionta (Duomo Vecchio) dirimpetto alla città e che comincia a fregiarsi primo esempio in Italia – del titolo comitale a partire dal 1059.

È la rinascita successiva al Mille ad innescare un nuovo fermento economico, demografico ed edilizio. Cardine ed emblema della ripresa è la nascita del libero Comune, che estende rapidamente il suo dominio nel contado, erodendo gli ampi poteri signorili delle autorità ecclesiastiche. La presenza di un console è attestata ad Arezzo fin dal 1098.
Attorno al 1200 lo sviluppo urbano induce alla costruzione di una nuova cerchia di mura, che sul lato Nord Est si riconnette a quella etrusco-romana, mentre sui versanti Sud ed 0vest abbraccia a semicerchio la base della collina con un tracciato ancora visibile nel percorso di via Garibaldi. Il perimetro della cinta raggiunge i 2.600 m. e racchiude un’area di ca. 51 ettari; la radiale principale diviene il borgo maestro. Nel corso del Duecento sorgono nella parte più alta della collina numerosi edifici pubblici e case-torri, viene portata a termine la costruzione della prima grande basilica della città comunale, la Pieve di S. Maria, splendido esempio di architettura romanica.
Alla fine del secolo, sotto l’influsso del nuovo stile gotico che va affermandosi, inizia la costruzione della Cattedrale, evento che segue il forzato ritorno della sede vescovile all’interno delle mura (1203), e delle chiese di due importanti ordini monastici predicatori: S. Francesco e S. Domenico. La vita cittadina è regolata dal Comune, retto in prevalenza dalla parte ghibellina, che estende il proprio dominio su un vasto territorio (da Borgo S. Sepolcro alla Massa Trabaria, dal medio Valdarno alla Valdambra, dal Casentino alla Valdichiana) rendendosi protagonista della sanguinosa presa di Cortona (1258) e scontrandosi con alterna fortuna con i grandi Comuni vicini (Siena, Firenze, Perugia, Città di Castello).
La disfatta subita dai Ghibellini a Campaldino (1289), dove muore lo stesso vescovo di Arezzo Guglielmino Ubertini, mette Firenze e Siena in possesso di larghe porzioni di territorio aretino. Il risveglio culturale annovera l’apertura dello Studium – i cui ordinamenti del 1255 regolano una delle più antiche Università medioevali – il fiorire delle Arti liberali e l’attività di rimatori (Guittone, 1235 ca. – 1294) ed artisti locali (Margarito d’Arezzo, 1236 ca. – 1293 ca.), seguiti da maestri fiorentini (Cimabue, Crocifisso in S. Domenico) e senesi (Pietro Lorenzetti, trittico della Pieve). Nel 1304 Arezzo dà i natali a Francesco Petrarca, figlio di un fuoriuscito fiorentino.

L’ascesa di Guido Tarlati, della potente “casa” ghibellina dei Pietramala (nel 1312 vescovo, nel 1321 signore a vita), risolleva la città dalla sconfitta di Campaldino ed avvia nei primi decenni del Trecento un nuovo, intenso periodo di sviluppo. Sull’onda delle riconquiste e degli ingrandimenti territoriali si procede ad un ulteriore ampliamento della cinta muraria verso la pianura di Sud-Ovest; a lavori ultimati, le mura civiche racchiudono una superficie di 107 ettari.
A Guido Tarlati succede nella signoria il fratello Pier Saccone (1327), con il quale inizia un rapido processo di decadenza; nel 1337 la città viene ceduta una prima volta a Firenze, che porta al potere la parte guelfa. Recuperata l’indipendenza e falliti diversi tentativi di instaurare un governo signorile, si giunge tra il 1376 ed il 1384 ad una prolungata crisi politica, durante la quale la città è ripetutamente messa a sacco. Nello stesso 1384, la Signoria dei Tarlati nuovamente ceduta a Firenze dal condottiero Enguerrand de Coucy per 40mila fiorini d’oro e definitivamente legata alle sorti della “dominante”, Arezzo perde, assieme all’indipendenza, gran parte della sua autonomia culturale ed artistica. Spinello Aretino (1346 ca. 1410) è l’ultimo artista locale a lavorare in città nella seconda metà del Trecento; nel corso del secolo successivo l’ambiente culturale aretino è dominato da personalità di formazione fiorentina, che lasciano una precisa impronta anche nell’architettura cittadina, in fase di passaggio dallo stile gotico a quello rinascimentale.
Nel Quattrocento operano ad Arezzo Bernardo Rossellino (Palazzo di Fraterrnita), Benedetto da Maiano (portico di S. Maria delle Grazie), Giuliano da Maiano (chiostro di Badia), Parri di Spinello, Bartolomeo della Gatta (progetto della chiesa della Ss. Annunziata) . Ma l’avvenimento di maggior portata è l’affidamento a Piero della Francesca degli affreschi del coro della chiesa di S. Francesco; dall’incarico, conferito nel 1453, nasce il celebre ciclo della Leggenda della Vera Croce, destinato ad entrare nel novero dei capolavori dell’arte italiana ed universale. Escono tuttavia da Arezzo uomini come I’umanista Leonardo Bruni (1374 ca. – 1444), autore della Historia florentina, i letterati Benedetto (1415 – 146~), Francesco (1416 – 1488) e Bernardo (1458 1535) Accolti, il corrosivo scrittore Pietro Aretino (1492 – 1556).

Falliti nel 1502 e nel 1529/30 gli ultimi tentativi di riconquistare l’indipendenza, l’egemonia stabilita sulla città dal patriziato, d’intesa con il principe, spegne per tutta l’età moderna ogni conflitto politico e sociale. Il Cinquecento aretino è dominato dalla poliedrica figura di Giorgio Vasari (1511 1574), architetto (Palazzo delle Logge, ristrutturazione della chiesa di Badia), pittore, storiografo dell’arte (Le vite dei più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani), consigliere granducale e come tale arbitro della vita artistica toscana. Nel clima manieristico ormai imperante operano in città il francese Guglielmo de Marcillat (vetrate della Cattedrale e della Ss. Annunziata) e Bartolomeo Ammannati (chiesa di S. Maria in Gradi).
L’assetto urbano è profondamente modificato dalla realizzazione di un nuovo sistema di fortificazione e dalla radicale distruzione, ai due capi della città, del palazzo del Comune e del Duomo Vecchio, decretata per motivi strategici da Cosimo I de’ Medici, in spregio ad ogni residuo di orgoglio cittadino. I lavori di fortificazione, terminati attorno al 1560, e le trasformazioni cinquecentesche, consistono nel definitivo rifacimento dell’antica Fortezza – alla quale hanno successivamente lavorato, a partire dall’inizio del secolo, Antonio (il Vecchio), Giuliano ed Antonio (il Giovane) da Sangallo, oltre a Nanni Unghero – e nell’erezione di una nuova cinta di mura bastionate, che in buona parte ricalca il tracciato trecentesco (4200 m. di perimetro, 100 ettari di superficie).
La città si arricchisce di numerose, ricche dimore nobiliari, fra le quali spiccano i palazzi delle famiglie Fossombroni, Guillichini, Barbolani di Montauto. Nella parte superiore di piazza Grande, già alterata dalla rovina dei palazzi del Comune e del Popolo, il grande edificio vasariano delle Logge cala come un sipario su un capitolo di storia cittadina.

Il lungo periodo della dominazione fiorentina – dapprima sotto la Signoria medicea (1434/1569), poi entro lo Stato granducale dei Medici (1569/1737) e dei Lorena (1737/1859) – vede la città di Arezzo, al pari di gran parte della Toscana, declinare progressivamente sotto il profilo economico, sociale e culturale. La popolazione (1552: 7.750 ab.; 1745: 6.700 ab.) ristagna e decresce, l’assetto urbano sembra congelarsi. In campo scientifico e letterario non si può tuttavia fare a meno di segnalare l’origine aretina di studiosi come Andrea Cesalpino (1519 – 1603), botanico e medico, e Francesco Redi (1626 – 1698), medico, naturalista e letterato. In campo artistico ed architettonico lo stile barocco lascia invece ben poche tracce significative.
Bisogna attendere l’inizio dell’Ottocento e l’affermazione del gusto neoclassico per vedere emergere la notevole produzione del pittore aretino Pietro Benvenuti (1769 – 1844). All’epoca leopoldina risale la riforma comunitativa nel 1772 che, riunificando la Città e le sue Camperie (fascia di un miglio e mezzo esterna alle mura) con le Cortine (territorio extraurbano fino a cinque miglia), segna sotto il profilo territoriale la nascita del moderno Comune di Arezzo.
L’ultima fase del governo lorenese, preceduta nel primo Ottocento dalla breve parentesi della conquista napoleonica – e, ad Arezzo, dalla violenta insorgenza antigiacobina del Viva Mama (1799)- segna un nuovo risveglio. Prende avvio la bonifica della Valdichiana, progettata e sostenuta dall’aretino Vittorio Fossombroni (1754 – 1844), ingegnere idraulico e per lungo tempo primo ministro del Granducato, si intensifica la realizzazione di opere pubbliche, nel settore della viabilità stradale e ferroviaria (via Anconetana, ferrata aretina) e dell’arredo urbano (porta Ferdinanda, piazza del Popolo). Nel 1825, raggruppando 49 comunità già facenti parte delle province fiorentina e senese, è istituito il Compartimento aretino, primo nucleo della futura Provincia di Arezzo. In campo letterario si segnala il poeta bernesco Antonio Guadagnoli (1798- 1858), che regge anche la carica di gonfaloniere.

All’indomani dell’annessione al nuovo Stato unitario, la riconquistata autonomia amministrativa e l’apertura delle comunicazioni ferroviarie con Firenze e Roma (1866) stimolano nuovi fermenti. La realizzazione di un primo stralcio del piano regolatore del 1867 via Guido Monaco, moderna arteria di collegamento tra la stazione ed il centro cittadino – segna la ripresa, lenta ma progressiva, della crescita urbana. Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento si assottigliano le zone inedificate all’interno della cinta medicea, si abbatte porta Colcitrone e si sostituisce porta S. Spirito con una più ampia barriera.
Nel 1881, in un panorama economico ancora legato all’agricoltura mezzadrile, ma già caratterizzato da vivaci spinte verso lo sviluppo manifatturiero ed industriale, nasce, in forma di “società anonima”, la Banca Mutua Popolare Aretina, destinata a trasformarsi, un secolo più tardi, nella Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio. Nel 1895 le strade e le piazze principali della città, presto seguite da edifici pubblici e privati, sono illuminate ad energia elettrica. Due decenni prima è nato ad Arezzo Francesco Severi (1879 – 1961), insigne matematico.

Nella prima metà del Novecento, in parallelo con l’impianto delle prime attività a scala industriale (Sacfem, 1907), l’espansione edilizia oltrepassa le vecchie mura, che tra le due guerre vengono drasticamente abbattute lungo tutto il settore Sud-Ovest, e si spinge lungo le principali direttrici stradali. Alla periferia della città sorgono il nuovo ospedale S. Mama Sopra i Ponti, l’ospedale neuropsichiatrico, il foro boario. Sul Poggio del Sole è eretto il nuovo palazzo del Governo. All’interno del centro antico si affronta il problema del risanamento dei quartieri più poveri e degradati con limitate operazioni di sventramento, per lo più rivolte alla creazione di nuove vie di accesso. II volto medioevale della città è alterato da una serie di discutibili interventi di restauro “in stile”, decretati dal governo podestarile che nel 1927, consolidatosi il regime totalitario di Benito Mussolini, è stato sostituito con la forza alle libere istituzioni elettive del Comune. Al secondo conflitto mondiale, sanguinoso epilogo del ventennio fascista, Arezzo paga un elevato tributo in termini di vite umane e di distruzioni materiali, provocate dai ripetuti bombardamenti aerei e dal passaggio del fronte. Il 16 luglio 1944, all’approssimarsi delle truppe alleate, le formazioni partigiane operanti nelle montagne vicine al capoluogo liberano la città dagli occupanti nazifascisti. Per il contributo dato alla Resistenza con l’attività partigiana (3.500 effettivi) ed il sacrificio della propria popolazione (3.110 caduti), la Provincia di Arezzo teatro di stragi e rappresaglie da parte dell’esercito tedesco in ritirata – verrà insignita della medaglia d’oro al valor militare, conferita nel 1984 dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Rimasti sulla carta i tentativi di pianificazione urbanistica risalenti agli anni Venti e Trenta, la ricostruzione dei quartieri danneggiati nel corso della guerra (1945/50) avvia una fase di ripresa intensa ma controllata. La programmazione dello sviluppo, messa a dura prova nei successivi anni Cinquanta e Sessanta, dominati dal boom economico, dall’industrializzazione accelerata e dall’inurbamento di grandi masse di popolazione agricola, consente all’amministrazione municipale – diretta a partire dalle elezioni del 1946 da una maggioranza di sinistra (PCI-PSI) – di arginare e mettere sotto controllo le iniziative di carattere speculativo innescate da un vorticoso processo di trasformazione economica e sociale.
A partire dal 1962/65 un piano regolatore impostato nelle sue grandi linee dall’architetto Luigi Piccinato guida l’espansione urbana secondo un disegno rivolto al potenziamento delle infrastrutture, alla creazione di una città policentrica, alla salvaguardia del patrimonio architettonico del centro storico, alla tutela delle zone agricole e collinari. Da questa esperienza prende le mosse il nuovo piano regolatore adottato nel 1987 – opera degli architetti Vittorio Gregotti ed Augusto Cagnardi che individua nel riequilibrio delle periferie urbane cresciute nel dopoguerra, nel recupero del centro antico, nella riqualificazione guidata attraverso una serie di grandi progetti pubblici, le tappe da percorrere in vista dell’ormai imminente appuntamento con il terzo millennio.